Situato in un’area protetta dei Colli Euganei, ad Arquà Petrarca, il
Frantoio di Valnogaredo gode di una storia secolare e di un territorio vocato.
Fondato originariamente nel 1700 dai Dogi Contarini nella loro villa di proprietà, il frantoio venne acquistato da Oreste Barbiero che, nel 1960, lo spostò nella dependance di Villa Contarini.
Dopo oltre 60 anni, il Frantoio di Valnogaredo, che si trova oggi alla quarta generazione, continua la sua produzione di olio EVO di qualità e investe per essere un’azienda sostenibile.
Abbiamo intervistato Paolo Barbiero – titolare di Frantoio Valnogaredo – per scoprire la storia e le origini di questa azienda centenaria.
Ci racconti di più della storia della sua azienda: quali sono gli elementi che vi caratterizzano e vi distinguono dai competitor?
Abbiamo una storia secolare perché il Frantoio Valnogaredo, nei Colli Euganei, fu fondato nel 1700 dai Dogi Contarini nella loro villa di proprietà. All’epoca il Paese contava 400 anime e la vita sociale girava proprio attorno alla villa che ospitava
la bottega del fabbro, il fornaio, le stalle ecc.
Grazie ai Dogi Contarini si capì che i Colli Euganei godevano di un clima particolarmente vocato per la coltivazione dell’olio, che è un prodotto molto energetico, ricco di calorie e che si conserva facilmente a lungo nel tempo grazie ai polifenoli che
contiene.
L’olivicoltura fa parte della famiglia Barbiero da ormai quattro generazioni grazie a mio padre Oreste, che acquistò l’antica attività dei Dogi Contarini e la portò nell’attuale sede ad Arquà Petrarca. Oggi abbiamo oltre 2000 alberi di uliveto, 600 dei quali sono piante secolari. Tra le 4-5 cultivar tipiche, coltiviamo la Rasara, una cultivar che si è selezionata autonomamente grazie alla sua resistenza al freddo.
Si tratta di una pianta che produce un olio distintivo con una buona intensità, una crescita lenta ed un retrogusto di mandorle dolci.
Può descrivere le origini del processo produttivo?
Il nostro è un frantoio tradizionale con spremitura a freddo e processo di separazione dalla parte liquida. Negli anni, grazie agli ammodernamenti, abbiamo costruito un frantoio a ciclo continuo: il primo nei Colli Euganei all’inizio degli anni ’90. Il
nuovo frantoio ha dato da subito dei risultati interessanti: fruttato intenso e maggiore conservazione nel tempo.
Negli ultimi anni stiamo riscontrando una passione per gli oli creati con metodi naturali come la macinazione attraverso gli antichi rulli di pietra. Si tratta di un metodo sicuramente tradizionale ma che ha delle problematiche dal punto di vista
igienico poiché è difficile da pulire e oggi lavoriamo a ciclo continuo e non possiamo permetterci che i prodotti all’interno dei rulli creino ossidazione.
Tuttavia, i rulli di pietra donano un prodotto più aromatico ed intenso e, nonostante si conservi meno nel tempo, possiede un mercato ristretto che resiste ancora oggi. Dal nostro osservatorio, quello che possiamo dire è che i gusti del cliente medio sono cambiati: fruttato e piccante sono gli elementi che un olio EVO di qualità dovrebbe avere e questo il cliente lo sa.
Qual è la localizzazione del vostro uliveto?
Sul Monte Ragno abbiamo un uliveto interessante che conta 3000 piante circa. Poi estendiamo la nostra coltivazione sul Monte Resino, sul Monte Lozzo e in altri siti per un totale di 5000 piante totali. Non lavoriamo solo olive di nostra proprietà, ne acquistiamo alcune in Veneto e facciamo lavorazione per conto terzi: il 50% della produzione è effettivamente nostra, il restante 50% è per conto terzi.
Utilizzate un frantoio di proprietà oppure di terzi? Dov’è collocato il frantoio?
Noi abbiamo un frantoio di proprietà e lavoriamo in modo partitario: l’oliva del nostro uliveto, diversa per tipologia, viene lavorata separatamente e distinta per creare oli monocultivar. Questo poiché gli oli di un determinato uliveto sono diversi dagli
oli prodotti da un altro uliveto: il terroir, come nel vino, è molto importante. La lavorazione partitaria viene eseguita a maggior ragione quando lavoriamo per conto terzi perché il produttore richiede l’olio prodotto solo ed esclusivamente
dalle sue olive, soprattutto per quanto riguarda gli oli biologici.
Esportate il vostro olio? Se sì, in quali Paesi e qual è la situazione attuale su quei mercati?
Nonostante non siamo una un’azienda grandissima, con una produzione di 10.000 quintali annui, sfruttiamo il turismo: siti termali come Abano e Montegrotto Terme vengono frequentati da turisti in tutto il mondo che poi conoscono il nostro prodotto e ne
richiedono la spedizione nel loro paese di origine. Perciò spedisco molto in Nord Europa, in Francia ed in Spagna, anche se il nostro miglior cliente è Taiwan. Abbiamo allargato la nostra attività di export anche nel Sud della Cina, ad
Hong Kong e Shanghai. Abbiamo clienti anche dall’Africa e dall’Inghilterra, spesso migranti italiani che richiedono il nostro prodotto.
È giusto menzionare anche gli Stati Uniti, mercato importantissimo perché, a differenza dei clienti locali, riconoscono la qualità del prodotto e sono disposti a pagarla.
Per questa campagna erano previsti forti cali produttivi che si sono effettivamente verificati. Quali sono le considerazioni sulle rese e la qualità del vostro raccolto?
Quest’anno, nonostante i pronostici, abbiamo goduto di rese ottime, quasi anomale. La siccità estiva ha prodotto un’oliva scarsa di acqua ma ricca di percentuale di olio. Generalmente, una buona resa equivale ad un 15% di produzione; quest’anno abbiamo visto una resa del 18%.
Bisogna però considerare un elemento fondamentale che è quello del prezzo: se con 100 kg di olive si producono 12-13 litri di olio EVO, non si può pensare di spendere 3 Euro per una bottiglia.
Trenta anni fa l’Italia era la prima produttrice di olio EVO con 600 tonnellate annue; oggi, questa produzione si è dimezzata. Infatti, attualmente la Spagna è la prima produttrice di olio con 3 milioni di tonnellate l’anno: è evidente che il panorama
produttivo è completamente cambiato. Infatti, in Spagna si coltivano 4 cultivar che producono il 90% della produzione, mentre in Italia ci sono oltre 500 cultivar.
Quali strategie state adottando per gestire l’inflazione, gli aumenti dei costi energetici e logistici?
In merito a questo il problema fondamentale è che i costi sono aumentati molto: il costo dell’energia influisce sulla produzione del frantoio che, a ciclo continuo, ha costante bisogno di energia. Sono aumentati anche i trasporti, la fornitura di macchine, il packaging, le materie prime. Per
far fronte a questo problema utilizziamo i nostri impianti fotovoltaici da 20 Kg/Watt che garantiscono accredito di energia per 9 mesi l’anno.
Abbiamo anche una auto produzione di energia termica per riscaldare le vasche e portarle a 25 gradi – anche se, in realtà, nel 2022 abbiamo avuto bisogno di raffreddare le vasche a causa delle alte temperature: produciamo energia termica tramite il nocciolino
di sansa, un combustibile simile al pellet.
Facciamo attenzione ai consumi e cerchiamo da anni di utilizzare energie alternative: a Settembre abbiamo installato un serbatoio GPL come alternativa dopo l’aumento del prezzo del metano. Grazie a macchine orientate al risparmio energetico,
alla produzione di energia da fonti rinnovabili e l’invio dei residui a terzi affinché non venga sprecato nulla, ci consideriamo un’azienda green non solo sulla carta ma anche di fatto.