Alessandro Sofroni è fondatore di Love to Italy, azienda americana di importazione e distribuzione di food (
tra cui olio extravergine di oliva), wine, beer and spirits italiani con sede a Greensboro
- North Carolina.
Love to Italy nasce con l’obiettivo di agevolare l’incontro di due specifici bisogni: quello del mercato statunitense (domanda) che ama il cibo italiano e quello delle piccole aziende produttrici (offerta) che hanno prodotti eccellenti ma che spesso
non hanno conoscenze e risorse per fornirglielo.
Abbiamo avuto il piacere di intervistare Sofroni per comprendere meglio cosa un importatore e distributore statunitense si aspetta da un’azienda italiana e quali sono le difficoltà che si riscontrano in un Paese così diverso dal nostro.
Ci racconti di come è nata Love to Italy.
Love to Italy è una mia idea imprenditoriale concretizzatasi dopo 4 anni di studio del mercato statunitense. Il mio obiettivo era quello di comprendere l’opinione degli americani sul nostro Paese e sui nostri prodotti e successivamente le normative che
regolano l’importazione. Nel 2016 è nata così Love to Italy in North Carolina, uno Stato che favorisce le nuove attività grazie ad una economia particolarmente florida. E’ un progetto che vuole aiutare le piccole e medie imprese italiane, realtà
che sono in grado di offrire prodotti di qualità ma che spesso non hanno il know-how e le risorse per esportare negli USA.
Come è percepito l’olio d’oliva italiano negli Stati Uniti?
La conoscenza del Made in Italy negli USA è superficiale, molto diversa dalla realtà. Basta uscire dalle grandi città come New York per accorgersi di quante poche persone riconoscano i prodotti di qualità e di come la cultura dell’olio sia basata
sul sentito dire. Al contrario dell’Italia, (secondo paese produttore di olio al mondo) dove abbiamo una conoscenza più intima, negli Stati Uniti è molto comune incappare in prodotti di bassissima qualità. Basti pensare che la stragrande
maggioranza degli statunitensi (ma temo anche alcuni italiani) non conoscono la differenza tra olio extravergine di oliva e olio di oliva.
Quest'ultimo viene ovviamente venduto a prezzi molto più bassi rispetto all’olio extravergine di oliva che Love to Italy importa e che ha un prezzo di vendita decisamente e giustamente più alto.
Ecco perché ci rivolgiamo a negozi e ristoranti di alto profilo che si interfacciano con una clientela che sa apprezzare l’olio italiano, tra cui molti italiani stessi che vivono in America.
In un mercato così diverso dal nostro come quello degli Stati Uniti, qual è il miglior modo per distinguersi?
È importante far comprendere ai produttori italiani di olio che offrire un ottimo prodotto non è sufficiente, soprattutto in un mercato dove non c’è la cultura per apprezzarlo. A fare la differenza in questi casi è la comunicazione (marketing),
con l’obiettivo di
educare il consumatore oltre che ad invogliarlo all’acquisto. La nostra azienda si sta impegnando anche su questo fronte.
Infatti, stiamo lavorando a dei progetti che mirano ad accrescere la cultura del cibo Made in Italy, a livello B2B ma anche B2C, con la creazione di una Academy per divulgare il nostro know-how.
Per quanto riguarda la comunicazione, invece, credo ci sia ancora molto su cui lavorare. Ad esempio, in America l’aspetto visivo nei supermercati è fondamentale e girando tra gli scaffali si può notare che l’armonia è presente anche sul piano cromatico.
Questo equilibrio di colori si scontra però con lo scaffale degli oli italiani, dove le bottiglie hanno un aspetto molto tradizionale, spesso poco espressivo se rapportate ai canoni estetici comuni. I produttori italiani faticano ad accettare di doversi adattare al modello americano perché sostengono che questo li porterebbe a perdere la propria identità, anche se in questi ultimi anni ho conosciuto alcune aziende italiane che hanno iniziato questo percorso vestendo il loro olio con una etichetta giovane e moderna.
Con chi compete maggiormente l’olio italiano?
Le piccole aziende produttrici di olio competono sia con i prodotti contraffatti che con gli oli provenienti da altri Paesi produttori come la Spagna. Ma un altro importante competitor è sicuramente rappresentato dai grossi player italiani. Le industrie
dell’olio (attraverso il marketing) riescono ad imporre bene il proprio brand mantenendo un prezzo decisamente concorrenziale, cosa che le piccole realtà non riescono a fare.
Che consiglio darebbe ad un’azienda che vuole approcciarsi al mercato degli Stati Uniti?
Il mio suggerimento è quello di cambiare il proprio mindset. Credo che questo rappresenti il problema principale che ho con le aziende italiane: la loro difficoltà ad uscire da una mentalità tradizionalista per adattarsi ad un business
che non è quello locale. Un esempio, spesso quando chiedo dove si trova il North Carolina non sanno collocarlo nella cartina e credo che questo possa dire molto sulla preparazione delle aziende che decidono di esportare negli Stati Uniti. Ai produttori
che dicono di cercare un importatore che si innamori del loro prodotto vorrei rispondere che il prodotto deve innanzitutto avere la capacità di vendersi. L’importatore offre un servizio, ma l’azienda deve fare un investimento su se stessa, sul proprio brand.