Situata a Olivola, piccolo comune in provincia di Alessandria, nel Basso Monferrato, l’azienda agricola Oliviera si distribuisce su un terreno collinare a 280 metri di quota.
Abbiamo intervista Anita Casamento Aquilino – proprietaria di Oliviera, sommelier dell’olio e membro di Golosaria e Slow Food – per scoprire le peculiarità di quest’azienda piemontese nata per passione.
Mia mamma è piemontese e di famiglia contadina e nel 1990 ho sentito il desiderio di acquistare una casa in Piemonte, in mezzo ad un frutteto, con quattro ettari di terreno attorno. In questa zona, che è una sorta di conca, che prende il sole da est a
ovest, ho pensato di piantare un ulivo in questo clima dolce e mite. Questo primo ulivo è sopravvissuto all’inverno ed è cresciuto bene. Così ho deciso di piantarne 10. Poi, vedendo che negli anni queste piante crescevano rigogliose, ho moltiplicato
in maniera esponenziale il numero degli olivi.
Non siamo partiti con l’idea di fare un business, il nostro obiettivo era avere una nostra casa del cuore, un luogo per riunire la famiglia e gli amici.
Oggi abbiamo 1500 piante e, nonostante il Piemonte non venga elencato tra le maggiori regioni produttrici di olio e di olive, noi abbiamo voluto accettare questa sfida.
Un ulivo che cresce in una zona settentrionale non è come quello che nasce al sud: i nostri ulivi hanno bisogno di crescere molto, prima di produrre; solo una volta diventati particolarmente robusti possono iniziare a rendere.
Così, abbiamo cominciato a frangere le olive facendo un sacrificio enorme perché in Piemonte, all’inizio della nostra attività, non c’erano frantoi e, almeno secondo me, il frantoio costituisce il 50% della qualità dell’olio.
Quali sono le specifiche del vostro processo produttivo?
C’è un punto di maturazione perfetta che si deve cogliere con una certa tempestività. Raggiunto il momento si inizia a raccogliere, rigorosamente a mano. In frantoio tutto sta nell’interpretazione del produttore. Noi facciamo frangere le olive
a 21 gradi, cerchiamo di tenere la centrifuga al livello minimo, rinunciando anche alla quantità ma garantendo la massima potenza espressiva del nostro prodotto.
Quando abbiamo iniziato, non eravamo esperti, ma semplici hobbisti neofiti: oggi facciamo dei blend tra Bianchera e Grignana e produciamo una monocultivar di Bianchera. Per quanto riguarda l’imbottigliamento, dopo il processo in frantoio, il produttore
ha due possibilità: raffinare l’olio o farlo decantare. Secondo me raffinare l’olio significa perdere tante delle sue qualità, perciò io ho deciso di farlo decantare. Attraverso dei contenitori in acciaio da 500 litri con una base di raccolta ad imbuto,
trattengo tutte le particelle del frutto: rinuncio ad una quantità di olio, ma ne produco uno con dei valori diversi.
Abbiamo scelto bottiglie di vetro pesanti e di colore nero, affinché non passi nemmeno un filo di luce. Ho infine fatto una ricerca anche sui tappi e sulle capsule: quando si produce un olio di qualità superiore, non c’è bisogno di usarne in quantità, ne basta un filo.
Perciò, ho scelto delle capsule speciali che permettono di servire l’olio goccia a goccia.
Le bottiglie vengono sterilizzate con l’azoto e poi vengono imbottigliate.
Ci avvaliamo di un innovativo frantoio cha ha aperto nel Monferrato, che garantisce massima pulizia e massima igiene.
Che approccio avete nei confronti del mercato estero?
In Monferrato c’è una affluenza di svizzeri, francesi, belgi e inglesi che hanno case qui nei dintorni e sono i miei più affezionati clienti e quindi esporto indirettamente con una richiesta personale che arriva dopo aver assaggiato il nostro olio in
azienda.
Una grande soddisfazione per chi come me ha voluto e creato da zero questa realtà produttiva.