L'Italia ha sempre giocato un ruolo di primo piano nel mercato globale dell'olio d'oliva, grazie alla sua tradizione secolare, al patrimonio olivicolo inarrivabile (circa 540 che rappresentano il 40% delle cultivar a livello globale), alla qualità raffinata
e alla notorietà mondiale che hanno contribuito a costruire un'immagine di eccellenza che ha resistito nel tempo. Tuttavia, la produzione interna italiana storicamente non riesce a soddisfare né la domanda interna né tantomeno quella globale. Questa
situazione ha costretto l'industria italiana a rivolgersi alla Spagna che domina il mercato globale dell'olio d'oliva: nella stagione 2021/22, ha prodotto il 44% dell'olio mondiale e ha rappresentato il 59% delle vendite internazionali. L'Italia,
invece, ha prodotto solo il 10% ed esportato il 20%, ma con una particolarità: le sue vendite, sebbene siano in gran parte di olio spagnolo, secondo i dati Eurostat, sono risultate più care del 41%.
La Spagna ha capitalizzato questa opportunità, diventando il maggior fornitore di olio d'oliva del Bel Paese. Negli anni, la Spagna ha migliorato significativamente la quantità (ma anche la qualità) della sua produzione, grazie all'adozione di
tecniche agricole moderne, ad impianti superintensivi e all'espansione delle coltivazioni irrigate. Questo ha portato a un aumento della competitività spagnola sui mercati internazionali, con una produzione che ha superato di gran lunga quella italiana.
Il paradosso italiano: una dipendenza strutturale
Questo squilibrio ha creato una dipendenza strutturale: l'Italia compra, imbottiglia con i propri marchi e rivende grandi quantità di olio spagnolo a prezzi più alti: l'oro verde dell'Andalusia inonda i mercati internazionali con nomi di brand
italiani come Pompeian, Carapelli o Bertolli.
Inoltre l'Italia ha conquistato i mercati internazionali per prima, dato che la Spagna è rimasta isolata dal mercato globale fino all'ingresso nella Comunità Economica Europea nel 1986.
Questo modello di business ha funzionato bene per decenni, permettendo all'Italia di vendere olio d'oliva a prezzi superiori grazie alla forza e alla riconoscibilità del suo brand “Made in Italy”. Tuttavia, negli ultimi anni, questo modello ha iniziato a mostrare notevoli segni di cedimento.
La produzione italiana di olio d’oliva è stagnante dagli anni '90 e ultimamente non copre neppure la domanda interna. Pertanto, l'Italia ha dovuto rivolgersi ai paesi del bacino del Mediterraneo per sostenere la sua industria di esportazione, che
ha triplicato le vendite negli ultimi trent'anni. In questa situazione, la Spagna rappresenta fino al 90% delle importazioni italiane, insieme ad altri mercati come Grecia, Tunisia, Portogallo, Turchia e Siria.
L'evoluzione dei rapporti commerciali tra Spagna e Italia è evidente nei dati: nel 2023, l'Italia ha rappresentato solo il 22% delle vendite di olio d'oliva in Spagna, una cifra impensabile un decennio fa, quando copriva quasi la metà delle vendite,
ossia il 47%. Questo cambiamento riflette una crescente autonomia del settore olivicolo spagnolo, che sta sviluppando relazioni dirette con i mercati internazionali, bypassando anche gli intermediari italiani.
L'ascesa del “Made in Spain”
L’olio d’oliva spagnolo sta guadagnando terreno, grazie a una combinazione di innovazione agronomica e strategie di marketing. Le aziende spagnole hanno iniziato a investire nella qualità, nella comunicazione e commercializzazione dei propri prodotti,
adottando un modello simile a quello italiano ma con un focus sulla valorizzazione del “Made in Spain”.
Marchi spagnoli stanno emergendo sui mercati internazionali ma, nonostante i progressi, la battaglia per la qualità non è ancora vinta dalla Spagna. Il nostro Paese continua a godere di un'ottima reputazione per la qualità del suo olio d'oliva,
sostenuta da numerose denominazioni di origine protetta che ne garantiscono l'eccellenza. La Spagna, pur avendo il maggior numero di uliveti e una produzione impressionante, deve ancora migliorare la percezione della qualità del suo olio sui mercati
esteri come dimostra la differenza nei prezzi e nel numero di denominazioni di origine: l'Italia ne ha dodici in più rispetto alla Spagna.
Italia vs Spagna: la sfida del presente e del futuro
Guardando al futuro, il mercato dell'olio d'oliva presenta enormi opportunità di crescita, ma anche significative sfide. Il cambiamento climatico rappresenta una minaccia per le coltivazioni di olivo, con periodi di siccità sempre più frequenti
e temperature estreme che possono influenzare negativamente la produzione.
L'industria spagnola continua a evolversi, cercando di bilanciare produzione di massa e qualità, seguendo e reinterpretando il modello "Made in Italy" ma una parte significativa del suo territorio è a rischio desertificazione.
D'altra parte, l'Italia deve spingere sull’innovazione per rendere più efficiente la produzione, implementando nuove metodologie per migliorare la resa degli uliveti e ridurre al contempo l'impatto ambientale. Il futuro del mercato dell'olio
d'oliva sarà determinato dalla capacità di entrambi i Paesi di adattarsi alle nuove condizioni e sfruttare al meglio le proprie risorse.
La battaglia dell'olio d'oliva tra Italia e Spagna è tutt'altro che finita. La Spagna continua a crescere in termini di produzione e influenza, mentre l'Italia mantiene un vantaggio nella qualità e nella percezione dei consumatori. La capacità del settore
olivicolo-oleario italiano di aumentare la produzione nazionale, diversificare le fonti di approvvigionamento, innovare il settore, tutelare le sue produzioni e mantenere alta la qualità e la percezione dei suoi prodotti, sarà determinante
per il futuro dell'industria dell'olio d'oliva italiano a livello globale.