Cresce il consumo mondiale di olio extravergine di oliva, secondo i dati di ExportPlanning, nel 2021 la domanda globale ha raggiunto i 6,3 miliardi di euro, il 5,3% in più rispetto al 2018.
Oltre ai mercati storici come Stati Uniti, Italia e Spagna, altri Paesi mostrano un progressivo aumento della domanda: in particolare nell'area mediterranea, la Turchia è il Paese che più di tutti ha aumentato la propria domanda, passando dai 7
milioni di euro del 2018 ai 70 milioni di euro del 2021. Seguono Portogallo (+44,5 milioni di euro), Germania (+44,1 milioni di euro) e Francia (+16,5 milioni di euro).
Anche nell'area Asia-Pacifico il consumo di olio d'oliva è in crescita. In Corea del Sud, ad esempio, gli acquisti sono aumentati di 16 milioni di euro in quattro anni, anche se Giappone e Cina rimangono i principali Paesi di destinazione del prodotto,
registrando oltre 100 milioni di euro di importazioni nel 2021.
Oltreoceano, i maggiori importatori sono gli Stati Uniti: nel 2021 gli Stati Uniti hanno superato i 900 milioni di euro, mantenendo il secondo posto nella classifica dei principali importatori su scala mondiale. Il mercato brasiliano ha superato i 300 milioni di euro di import di olio d’oliva nel 2021.
Anche altri Paesi del Sud America hanno registrato incrementi relativamente importanti che lasciano intravedere significativi spazi di crescita dei consumi: è il caso di Messico (+6.5 milioni di euro) e Colombia (+4.5 milioni di euro).
In questo contesto globale favorevole in cui
la domanda di olio d’oliva è in ascesa, come abbiamo rilevato in un nostro
recente articolo,
la produzione italiana è in calo. Secondo
le stime di Unaprol per il 2022-23, l'Italia non andrà oltre le 230 mila tonnellate, il
30% in meno rispetto alla scorsa stagione, anche a causa della siccità che ha colpito duramente il Paese quest'estate.
In particolare, peserà sulla nostra produzione il calo del 50% previsto nella principale regione produttrice, ovvero la Puglia, a causa delle gelate fuori stagione in primavera, della siccità estiva e della Xylella fastidiosa che ha bruciato un
potenziale pari al 10% della produzione nazionale.