Esperienze Aziendali

Lunedì 6 Marzo 2023

La formula imprenditoriale di Costa d’Oro in una congiuntura che impegna molto la filiera olivicola

Daniela Pontecorvo, responsabile Marketing, sottolinea l’importanza di un incremento della cultura olearia e di un piano nazionale condiviso dedicato al settore

di Veronica Zin

Scheda tecnica

Costa d’Oro è una realtà umbra costituita nel 1968 a Spoleto, in provincia di Perugia, che vanta una ricca gamma di etichette di olio per diverse linee di prodotto, ognuna delle quali ha propri target di mercato, canali commerciali e formule produttive.

Il brand Costa d’Oro annovera sia oli 100% italiani che oli di provenienza dal bacino del Mediterraneo. Sul proprio territorio ha strettissimi rapporti con fornitori locali: i produttori umbri ad essa affiliati, devono sottoscrivere i 10 punti della “Carta del Fornitore”, aderendo a pratiche agricole concordate. 

In un contesto in cui i volumi produttivi sono in forte calo, quali sono le sue considerazioni sulla qualità dell’olio nel futuro prossimo?

Grazie alla nostra attenta selezione delle materie prime e al nostro network di fornitori consolidato non abbiamo riscontrato finora problemi qualitativi. Abbiamo deciso di non modificare la nostra strategia di acquisti, assorbendo l’aumento dei costi collegato all’inferiore resa della campagna olearia di quest’anno.
Continuiamo nel nostro percorso di miglioramento costante della qualità offerta, attraverso analisi di laboratorio sugli oli in entrata e in uscita dall’azienda, con protocolli ben più rigorosi di quelli previsti dalla legge. L’inflazione, la carenza di materiali secchi, l’aumento dei costi logistici ed energetici hanno colpito duramente il settore.

Quali sono le maggiori difficoltà legate ai rincari e quali strategie state adottando per gestire questo frangente complesso?

La maggior parte delle aziende ha incamerato tutti gli aumenti e solo negli ultimi mesi il maggior costo è stato riversato al trade e poi al consumatore finale. L’aumento ha determinato riduzione nei consumi, soprattutto nel segmento classico/mainstream. La nostra scelta come Costa d’Oro è di continuare a puntare su prodotti a valore aggiunto, come il 100% italiano, che rimangono tra i più resilienti alle variazioni di prezzo, in quanto attraggono un consumatore disposto a spendere di più per un olio di qualità.

L’Italia vanta una ricca diversità di cultivar, spesso poco valorizzata ed ignorata da gran parte dei consumatori. Quali a suo avviso le strategie più efficaci per valorizzare questa ricchezza ancora poco conosciuta?

Bisogna imparare da quanto fatto nel mondo vino, che oggi ha un mercato molto più attento, esigente e consapevole. Bisogna far comprendere l’expertise elevatissima che c’è dietro la produzione di olio, dal campo fino all’attività di blending. Occorre investire su corsi di assaggio, degustazioni e attività di comunicazione nei punti vendita in collaborazione con i retailer, in eventi territoriali;  veicolare informazione tramite ambassador, libri, pubblicazioni e, non ultimo, investire nell’oleoturismo per valorizzare il legame indissolubile tra l’olio e il territorio di appartenenza. La nostra sfida è anche quella di lavorare con le Università perché si formino percorsi che permettano alle nuove generazioni di avvicinarsi professionalmente a questo mondo affascinante. 

Cosa pensa delle strategie di maggiore apertura delle frontiere ad olio anche non comunitario. Potrebbe essere una soluzione valida per coprire la cronica carenza di prodotto nostrano sul mercato o potrebbe rivelarsi controproducente? 

L’Italia ha storicamente un deficit negativo tra produzione e consumi interni, che sta aumentando negli ultimi anni, per cui l’importazione è una scelta obbligata. In base ai nostri requisiti di qualità, cerchiamo gli oli migliori senza pregiudizi sul paese di provenienza, tra questi anche attingendo ad alcuni oli non comunitari.
Molti produttori chiedono a gran voce un piano nazionale condiviso di modernizzazione produttiva e infrastrutturale del settore olivicolo.

Quali sono secondo lei i punti chiavi che andrebbero inseriti in un piano nazionale?

Gli obiettivi strategici sono legati, ferma restando la qualità dell’olio italiano, all’aumento delle quantità prodotte, al costo delle risorse umane e quindi alla redditività del settore, nonchè al contenimento dell’impatto ambientale: su questo fronte aziendalmente siamo attivi nel progetto “serving the Earth” nell’ambito della nostra partnership con il Gruppo Arvil.